domenica 28 dicembre 2025

"TUTTO E' VITA!". LA CAMPANA SEPOLTA E RITROVATA. UNA CREPA CHE CURA E PROTEGGE, A REYKJAVJK E NON SOLO...

Era buio e pioveva nel mattino di Reykjavjk.

Nell'inverno più caldo di sempre, invece, non faceva freddo.

La mia lettura frettolosa di Wikipedia mi aveva portato, per sbaglio, nella cattedrale luterana della città, una bella e sobria chiesa che sfoggia uno splendido organo a canne.

Il pastore, capendo che fossi un turista, mi ha chiesto se cercassi la cattedrale cattolica, la Chiesa di Cristo Re.

Gli ho risposto con un sorriso che ritenevo che Cristo non facesse poi tante differenze, ma che sì, visto che la messa cattolica era prevista mezz'ora prima (mio figlio ronfava intanto nell'appartamento sotto svariate coperte), mi sarei incamminato verso l'altra cattedrale.

Pochi minuti a piedi, una piccola collina.

Sulla sommità, appunto la Chiesa di Cristo Re.

Oltre la pioggia.

Era ancora buio.

La Messa inizia quasi subito, non ho tempo se non di notare che, se la cattedrale era molto bella e con un Cristo un croce molte particolare, sull'organo a canne vincevano, invece, indubbiamente, i luterani.

La Chiesa si riempie velocemente.

Tanti bambini e bambine e una sorpresa inaspettata.

Gli islandesi (forse, si dice, il popolo più ateo del mondo) non sono poi tanti.

C'è, invece, tutto il mondo, rappresentato anche nel clero, c'erano, forse una per continente, anche le suore di Madre Teresa di Calcutta.

Ci sono varie Afriche, certamente il Giappone, le Filippine, turisti da varie parti d'Europa, sento pregare in spagnolo, sottovoce.

A fianco mio, invece, un signore abbastanza anziano, ma imponente, che sembra proprio uscito da un film sui vichinghi.

Avendo studiato prima le Letture, seguo senza troppa fatica la Messa, cerco con gli occhi una statua di San Giuseppe e ascolto la celebrazione, presieduta da un anziano sacerdote islandese che scandisce le parole nella sua lingua madre.

Ho tutto il mondo intorno.

L'aspetto più bello, davvero, sono i bambini, le bambine, se ne vedono diversi mulatti o con gli occhi non completamente a mandorla, ma nemmeno occidentali.

Il segno del futuro, di un mondo che misura i confini, ma sa anche oltrepassarli, mischiarli, intrecciarli, anche alla "fine" proprio del mondo.

Ascolto il Credo e il Padre Nostro in islandese.

Pregare in una lingua lontanissima dalla propria è un esercizio particolare, un segno di Fede, di Fiducia piena, di abbandono alla Parola, nella Parola.

Arriva il momento della Comunione.

Un'altra sorpresa.

Qui si riceve il Corpo di Cristo solo da inginocchiati.

Il sacerdote mi guarda con profondità, pronuncia verso di me parole in latino.

Protendo le mani. Accolgo l'Eucarestia.

La Messa termina con tanto, tanto incenso e una Benedizione che non necessita di traduzioni.

Esco dalla Cattedrale di Cristo Re.

La prima sorpresa, gradita, è la Luce.

Si entra al buio la domenica a Messa in Islanda e si esce con la Luce.

Da Cristo Re, senza troppo fatica, si scorge, non lontano l'Oceano, con le sue grandi navi attraccate, purtroppo qualcuna da guerra.

Ma la sorpresa più grande è l'ultima.

C'è una campana nel giardino intorno alla cattedrale.

Mi avvicino, la spiegazione è in tantissime lingue, italiano compreso, devo essere importante.

Nel 1927 vennero consacrate, infatti, tre campane.

Una di questa, però, dovette subito essere sostituita, conteneva all'interno una crepa.

Fu, in tutta fretta, sepolta nel giardino della Chiesa, totalmente interrata, quasi ce ne si vergognasse.

La campana crepata è stata ritrovata, se ne era persino persa la memoria, meno di dieci anni fa, ed è stata ri consacrata nella festa di Ognissanti e posta di fronte all'ingresso della Chiesa, tutti ci devono passare, tutti la devono vedere.

La campana con la crepa ritrovata, rappresenta oggi, per i cattolici islandesi, un simbolo di: "protezione della Vita".

E' un segno bellissimo, che mi porto dentro, anche perchè il mio cellulare è scarico e non posso farne una foto.

La fotografo, però, con gli occhi.

Ogni crepa, ogni ferita, porta con sè una Luce.

"Tutto è Vita!".

A Reykjavjk, ma non solo qui.

Francesco Lauria

sabato 27 dicembre 2025

28 DICEMBRE. LA PIANURA DEI SETTE FRATELLI, IL PRESENTIMENTO DI GIORGIO, IL PERDONO DI PIPPO.

"E terra e acqua e vento / Non c'era tempo per la paura.

Nati sotto la stella / Quella più bella della pianura.

Avevano una falce / E mani grandi da contadini

E prima di dormire / Un padre nostro, come da bambini.

Sette figlioli sette / di pane e miele a chi li do?

Sette come le note / Una canzone gli canterò.

"Francesco, ma come mai prima delle testimonianze, a pag. 391, hai messo questa canzone, è un errore?"

Quando, cinque anni fa, ho ricevuto questa telefonata dalla casa editrice, poco prima che il libro su Pippo Morelli andasse in stampa, ammetto di avere abbozzato un sorriso.

Questa stupenda canzone della band marchigiana dei Gang, dedicata alla vita e al sacrificio dei sette fratelli Cervi, non era un refuso, ma rappresentava qualcosa, per me, di intimamente importante.

Quella di Pippo Morelli e della sua famiglia è, infatti, una storia emiliana, come, in buona parte, la mia.

Affonda le radici, vale per tutta la mia terra, nella Resistenza partigiana, in uno spazio, come scrivono i fratelli Severini, nato: "sotto la stella, quella più bella della pianura".

Una terra delimitata dal grande fiume che ne congiunge le province e ne delimita il confine.

La mia generazione, adolescente nella metà degli anni Novanta del Novecento, è forse l'ultima ad essere cresciuta a contatto con la memoria viva della Resistenza, fosse essa rappresentata dai propri nonni o meno.

Ricordo come oggi i vecchi partigiani cristiani nel complesso dei Giardini di San Paolo a Parma mettere in ordine documenti e vecchie sedie, rispolverare quadri, racconti e memorie.

Tra quei partigiani, durante la lotta resistenziale, c'era anche mio nonno Anesio Finardi, scomparso prematuramente nel 1960, di cui ho racconti molti frammentati dei compagni di lotta, conosciuti superficialmente, come direbbero gli austriaci, "un attimo prima del Mezzogiorno".

Ecco, quella canzone dei Gang rappresenta la centralità dell'esperienza resistenziale della mia Emilia, certo un racconto spesso non sufficientemente plurale che ha oscurato per tanti decenni anche le proprie ombre.

E così, proprio nell'anniversario del sacrificio dei sette fratelli Cervi e di Quarto Cimurri, non è contraddittorio ricordare anche Giorgio Morelli, il partigiano "Solitario", fratello di Pippo. Il primo ad issare il tricolore nella Reggio Emilia liberata, cui, recentemente, la storica Marta Busani, ha dedicato una splendida biografia.

  

La nostra pianura, come cantano ancora i Gang, ci dice ancora oggi che: "i figli di Alcide non sono mai morti" ci fa commuovere in mezzo alla nebbia, anche alla neve, pensando a loro.

Ma ci restituisce anche le intense parole di Giorgio Morelli, tratte dal suo diario, scritte due giorni prima di morire, non per mano fascista, ma per mano comunista, una mano fratricida, in quello che sarebbe stato poi definito, pur tra tante strumentalizzazioni, il "triangolo rosso", a guerra ampiamente finita.

Scriveva il Solitario: "Ho una tristezza infinita nell'anima. Quasi un presentimento che debba avvenire qualcosa di inatteso, di acerbo. Forse questa mia giornata terrena potrebbe non vedere l'alba di domani. Non mi spaventa la morte. Mi è amica, poichè da tempo l'ho sentita vicina. (...) 

Nell'istante prima del mio tramonto, mi prenderebbe una sola nostalgia, quella di aver poco donato. Oggi la mia confessione ultima sarebbe questa: l'odio non è mai stato ospite della mia casa. Ho creduto in Dio, perchè la sua fede è stata la sola e unica forza che mi ha sorretto".

Un'eredità non semplice da portare per Pippo, specialmente nel suo territorio. 

Ha testimoniato nel libro Massimo Storchi:

"Fu Morelli a chiedermi se avessi scoperto qualcosa di più sul fratello Giorgio. Il clima a Reggio Emilia non era semplice, ma lui non aveva quel più di astio, spesso visceralmente anticomunista, comprensibilissimo e piuttosto diffuso tra i familiari delle vittime della violenza politica comunista nel dopoguerra. Quello che Morelli cercava, con grande attenzione e sensibilità, era di conoscere meglio quello che era avvenuto al fratello, il contesto socio-politico e, ovviamente, anche le responsabilità. Pippo Morelli era stato capace di rielaborare il lutto. Non gli interessava il martirologio, ma un confronto aperto, maturo. Gliene sono sempre stato riconoscente".

Forse è per questo che dalla pianura, anzi dal grande fiume di mio nonno Anesio, che era di Colorno, le note e le parole si incamminano verso i monti, attraverso quei sentieri partigiani che Pippo Morelli contribuì a riscoprire proprio all'inizio degli anni Novanta del Novecento, da vice presidente del Parco del Gigante.

Me li immagino, nonno Anesio, Giorgio, Pippo, i sette fratelli, Quarto Cimurri, incamminarsi verso altre terre emiliane che hanno conosciuto, contemporaneamente, un'immane tragedia e poi un sogno, infinito, certo a volte contraddittorio, ma genuino, di Pace e Giustizia.

Sì, non è breve, la strada della Pianura verso le Querce di Montesole. 

Ma io me li immagino davvero, insieme, tutti quanti camminare in salita e incrociare lo sguardo del cielo insieme all'esile figura di Don Giuseppe Dossetti che li benedice, con i loro canti...

"E in quella pianura / Da Valle Re ai Campi Rossi

noi ci passammo un giorno / e in mezzo alla nebbia

ci scoprimmo commossi.

Sette figlioli sette / di pane e miele a chi li do?

Sette come le note / Una canzone gli canterò.

E anche io, oggi da Reykjavjk, guardo i monti appena spruzzati dalla neve del 28 dicembre di questo strano 2025.  

L'inverno più caldo, qui in Islanda, da sempre, con punte, incredibili e inquietanti, fino a venti gradi sopra lo zero, nei fiordi orientali.

Commosso, penso, da lontano, al mio grande Fiume e ad una lotta per la libertà e la democrazia che molto è costata, ma in cui tantissimo, pur tra sanguinanti contraddizioni, si è donato ed amato.

https://www.youtube.com/watch?v=pfCTz_7XdqM&list=RDpfCTz_7XdqM&start_radio=1

Francesco Lauria

giovedì 25 dicembre 2025

I GIOIELLI E I FAVORI DEL SIULP POSSONO INFANGARE UNA STORIA SINDACALE DEMOCRATICA E GLORIOSA

Soprattutto nel corso degli ultimi dieci anni, in particolare da quando nel paese parmense di Langhirano (si, quello dei prosciutti…) mi è stato conferito per il mio libro, “Sapere, Libertà, Mondo. La strada di Pippo Morelli”, il premio letterario: “Sapori del giallo” (si c’è anche una sezione di saggistica…) ho approfondito, talvolta anche con i corsisti presso il Centro Studi Nazionale Cisl di Firenze, il percorso, importantissimo, della democratizzazione e della sindacalizzazione della polizia in Italia.

Il premio, mi è stato consegnato da Luigi Notari, figura significativa, a livello nazionale, proprio di questo percorso di estensione della cultura democratica nel nostro paese.

Un percorso, patrocinato, forse più che dalle confederazioni, dall’Flm (il potente sindacato unitario dei lavoratori e delle lavoratrici metalmeccanici/che) e che si sviluppò, curiosamente, in parallelo con la sindacalizzazione dei calciatori. 

Una sindacalizzazione, quella dei calciatori, anch’essa, almeno all’inizio, in rapporto, in questo caso, in particolare con la Federazione Cgil Cisl e Uil, ma che vide Gianni Rivera e soci, intraprendere ad un certo punto, anche comprensibilmente, percorsi del tutto extraconfederali.

Tornando alla polizia, e all’uscita dai difficili anni Settanta del Novecento, contrassegnati, come ben ricordano nel loro bellissimo spettacolo teatrale Mario Calabresi, Benedetta Tobagi e Sara Poma, da “terrore e diritti”, il percorso che ha portato alla nascita del Siulp e al ribaltamento della legge che vietava, in Italia, la sindacalizzazione della polizia, è stato non facile, ma democraticamente importantissimo.

Come ha ben rilevato Michele Ainis in un suo testo sul sindacato che affronta la questione della sindacalizzazione democratica e della smilitarizzazione della polizia, (“Sindacati, autonomia, imparzialità”): 

“Lo Stato, diceva Max Weber, ha il monopolio della forza legittima. Ma in democrazia deve usare la forza per garantire le libertà dei cittadini, non certo per opprimerli. E questo il lascito del costituzionalismo, inaugurato dalle Carte rivoluzionarie di fine Settecento. Da qui, allora, una domanda: come può la macchina statale proteggere i diritti, se non li riconosce al proprio interno? 

La risposta si trova scritta nella legge 1 aprile 1981, n. 121, che ha avviato il processo di democratizzazione della Polizia di Stato. Attuando, sia pure con trent'anni di ritardo, un principio costituzionale. "L'organizzazione sindacale è libera", dichiara infatti l'articolo 39 della Carta repubblicana. Ma in precedenza i sindacati, nel cuore pulsante dello Stato, non erano liberi, bensì vietati. Ora non più: l'articolo 82 di questa legge enuncia i diritti sindacali delle Forze di polizia».

Nel corso degli Anni '70 sull'onda della crescente sindacalizzazione della società italiana, scrive ancora Ainis - i movimenti democratici rivendicativi di spazi di libertà finirono per coinvolgere anche le forze armate e, in particolare modo, la Polizia per la quale si richiedeva oltre alla smilitarizzazione, anche il riconoscimento della rappresentanza sindacale. 

Sotto questo punto di vista la legge 121 ha rappresentato davvero ulteriore tassello nel processo di democratizzazione dell'Italia: fino a quel momento, infatti, il sindacato restava escluso del tutto dalla struttura militare della pubblica sicurezza.

 «L'importante riconoscimento della libertà sindacale per il personale della Polizia di Stato – affermava il prefetto Carlo Mosca - si fonda sulla pluralità di organizzazioni sindacali dirette e rappresentate da personale di polizia in servizio o in quiescenza, organizzazioni che tutelano gli interessi degli operatori di polizia senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi».

La sindacalizzazione nella Polizia di Stato italiana è oggi un fenomeno consolidato, che nato, appunto, ufficialmente con la Legge 121/1981, ha esteso i diritti sindacali agli agenti, prima vietati, trasformandoli in lavoratori con diritti.

L’Italia, che ha subito procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea, è, invece, molto, molto indietro rispetto al percorso della sindacalizzazione dell’esercito e dei militari in generale, diffusa sostanzialmente in tutti i paesi europei.

Le sigle oggi sono numerose, ma il sindacato storico e, almeno all’inizio quasi unitario delle forze di polizia è sempre stato il Siulp, firmatario, con il Ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro, del primo contratto nazionale delle forze di polizia, siglato il 15 dicembre 1982.

Nel tempo il quadro si è frammentato, ha preso forza il Sap (legato al mondo del centro destra, ma anche a un “sindacalismo senza privilegi”), e dal Siulp si è avuta una scissione negli anni Novanta, con la nascita del Silp-Cgil.

Pur se con percorsi inevitabilmente autonomi (legati anche alla legislazione sul punto) è inevitabile riconoscere che, ormai da circa trent’anni, il Siulp si riconosce ed è, pur non del tutto formalmente, una federazione di categoria della Cisl.

Pur rimanendo un garantista (ma bisogna sempre anche distinguere tra responsabilità penali e storture politico-sindacali) leggere quanto avvenuto a Felice Romano, storico leader e segretario generale del Siulp in queste settimane con le inchieste e i provvedimenti restrittivi che lo riguardano mi ha messo enorme tristezza. 

Ricordo, ormai dieci anni fa, miei amici poliziotti, operativi sul campo, ma esponenti di altro sindacato (di centro destra appunto), che mi sottolineavano: “Lo conosciamo tutti Felice Romano, ha trasformato un glorioso sindacato, in un grande patronato, in cui ci si iscrive per avere, non per forza illegittimamente, qualcosa in cambio”.

Proprio quella “grande famiglia” che, con un’accezione, sinceramente piuttosto brutta, Romano descrive nelle intercettazioni che sono state diffuse nell’ambito dell’inchiesta.

Certo gli ingredienti, quando il Corriere della Sera di Roma (non la rivista dei Tupac Amaru) titola: Concorsopoli nella polizia di Stato: buoni da Bulgari e viaggi in Spagna per favorire gli accessi al Corpo. Indagati il segretario generale del Siulp e la moglie medico | Corriere.it o altri media rincarano la dose con: Viaggi e gioielli per superare il concorso in polizia. Così si diventa agenti con il sindacato "amico" per distruggere, demolire qualsiasi fiducia nel sindacato (e in un così importante e glorioso sindacato) ci sono tutti.

Mi auguro, anche se, sinceramente ho parecchie perplessità, che Felice Romano, la moglie e la dirigenza tutta del Siulp sappiano confutare legalmente le tesi accusatorie, ma quello che emerge è comunque un quadro davvero grave, soprattutto per la pervasiva collusione con il potere.

Un sindacato che si sostituisce allo Stato, compie il processo inverso, in generale, ma ancor di più nell’ambito delle forze di polizia, per cui è nato, con tanti sacrifici, con tanta visione, schivando le pallottole dei terroristi di destra e di sinistra e gli esplosivi della criminalità organizzata.

Anche le notizie di stampa che mi parlano di un Siulp che, con azioni funamboliche, dribbla i provvedimenti restrittivi comminati ai propri dirigenti, rappresentano un quadro, da un lato di paradossale e possibile illegalità, dall’altro di profonda arroganza del potere, dell’idea di impunibilità assoluta che io ho riscontrato, in molti dirigenti della Cisl, in primis nella mia, ma anche in altrui vicende.

Proprio per questo, in tanti e in tante, ci ritroveremo a Firenze, sabato 31 gennaio, per: “Rigenerare democrazia”, a partire dalla crisi, direi “costituzionale” dei corpi intermedi, a partire da una partecipazione falcidiata da logiche perverse e corrotte di dominio.

Iscrivetevi, abbiate coraggio, venite a Firenze, sulla strada per Fiesole e Barbiana: sarà un’assemblea aperta, in cui, come diceva Pierre Carniti, “sognare da svegli” e, soprattutto, sulla scia di Don Lorenzo Milani: “prendere parola”.

Tutte le informazioni, il programma e il link di iscrizione li trovate qui:

https://www.prendereparola.it/2025/12/25/rigenerare-democrazia-la-partecipazione-nei-corpi-intermedi-per-una-politica-della-cura/

e qui:

https://sindacalmente.org/content/a-firenze-il-31-gennaio/

Francesco Lauria

NATALE IN VOLO. SU UNA FOGLIA ("CLOSE TO ME")

Parole incidono carne,

Schiaffeggiano anima.

Fragore di buio,

Silenzio assordi,

Rumore confondi.

Distolto è lo sguardo.

Riscoprire fragilità, cura,

Osata rinascita,

Generazioni, Kairòs.

Unici e soli,

Tutti noi siamo,

Ciascuno è.

Improvvisa, 

La luce,

Natale in volo, 

Con te che dormi,

Oltre le nuvole.

"Close to me" 

Croce bambina,

Entrambi abbracci.

Insieme preghiamo,

Su una foglia.

Francesco Lauria, Reykjavík, 25 dicembre 2025

(Foto, "In volo", di Jacopo Lauria; Musica "The Cure")


Close to me (The Cure, 1985)

https://www.youtube.com/watch?v=BjvfIJstWeg

I've waited hours for this

I've made myself so sick

I wish I'd stayed

Asleep today

I never thought this day would end

I never thought tonight could ever be

This close to me

Just try to see in the dark

Just try to make it work

To feel the fear

Before you're here

I make the shapes come much too close

I pull my eyes out

Hold my breath and wait

Until I sha-ha-ha-hake

But if I had your faith

Then I could make it safe and clean

Oh if only I was sure

That my head on the door was a dre-ea-eam

I've waited hours for this

I've made myself so sick

I wish I'd stayed

Asleep today

I never thought this day would end

I never thought tonight could ever be

This close to me

But if I had your face

Then I could make it safe and clean

Oh if only I was sure

That my head on the door was a dre-ea-eam








lunedì 22 dicembre 2025

A FIRENZE (FIESOLE) IL 31 GENNAIO. PER NUOTARE OLTRE LA PAURA, "SOGNANDO DA SVEGLI", "PRENDENDO PAROLA".

Ricorderò sempre, ormai diversi anni fa, quando raccontai a mio figlio Jacopo, mentre insieme, salivamo a piedi a Barbiana, attraverso i sentieri della Resistenza e della Costituzione, che, oltre alla scuola di Don Lorenzo, avrebbe visto una piscina.

Era piccolo e, allora, potevo usare immagini e metafore che oggi forse non apprezzerebbe così tanto.

Come avevo detto prima che a lui a centinaia, forse migliaia di sindacalisti (si, perchè al Centro Studi Cisl di Firenze, dal 2018 in avanti, tra Fiesole e Barbiana, ho organizzato decine e decine di iniziative, mostre, spettacoli teatrali, convegni, riflessioni, dibattiti, corsi, camminate, su Don Lorenzo e la sua scuola) alla scuola c'è il mare.

C'è il mare, perchè c'erano decine e decine di bambine e bambini che il mare non lo avevano mai visto.

Che avevano paura dell'acqua e di nuotare.

Fu così, che utilizzando l'acqua di fonte proveniente dal Monte Giovi, Don Lorenzo e i suoi ragazzi, un po' spostata, dopo la Chiesa e la canonica, hanno costruito una piscina.

Mi dicono non sia stato facilissimo.

All'inizio hanno anche sbagliato le pendenze.

Ma dagli errori si impara, dalle cadute ci si rialza.

Spiegavo quindi a Jacopo, mentre salivamo insiemem che a Barbiana avrebbe visto tante cose, tra cui il Santo Scolaro, ma anche e soprattutto il mare.

Non si nuota di solito, se si ha paura dell'acqua, se si teme di perdere il respiro, si teme di perdere la Vita, da soli.

Si nuota insieme.

Insieme contro la paura.

Oserei dire anche contro la violenza.

Oltre la paura dell'altro, oltre la paura di se stessi, di non farcela, di non riuscire a guardare chi si ha di fronte, a partire dalla sue ferite, ma anche dalle sue feritoie, da una luce che, a volte, può anche abbagliare, bruciare.

Imparare a nuotare, insieme.

Questa è la piscina, il mare, l'oceano di Barbiana, come, prima di me, ha scritto una rivista che oggi purtroppo non c'è più e che si chiamava, non a caso, Il Margine.

Per questo bisogna continuare a salire (e poi, pieni zeppi di Speranza a scendere) rispetto a Barbiana.

Bisogna continuare a sfidare la paura di questo tempo infame, buio.

Nella piscina, a un certo  punto, ho visto le fotografie e un filmato, non si faceva che ridere e scherzare, altro che Don Milani serioso.

Don Lorenzo guardava e sorrideva, già gravemente ammalato.

A Barbiana, alla piscina della scuola, con la Fim Cisl e Paolo Landi, allievo di Don Lorenzo. Il fotografo è Jacopo.

Oltre Barbiana, se si hanno ancora gambe, si può salire ancora, tra i pascoli di montagna del Monte Giovi.

Si può respirare sapere e libertà.

Si può avere sete di Giustizia. Insieme.

Che poi è l'etimologia della parola, dell'essere Sindacato. 

Quello vero, quello che ti inonda di giustizia e ti fa superare la paura, ogni paura.

Proprio come la piscina, il mare, l'oceano della collina di Barbiana.

Bambine e bambine che sconfiggono insieme, e in ogni tempo, anche il nostro, la  paura.

Istante immenso di Speranza condivisa.

Ci vediamo a Firenze, in cammino tra Fiesole e Barbiana, sabato 31 gennaio, dalle 10 alle 17, proprio come diceva Pierre Carniti: "Sognando da svegli", proprio come diceva Don Lorenzo: "Prendendo Parola".


Per maggiori informazioni e per iscriversi:


VORREI

VORREI SVEGLIARMI OGNI MATTINA
CON DENTRO UN FILO DI SPERANZA
VORREI PER CASA UNA COLLINA
CHE AVESSE IL CIELO 
IN OGNI STANZA...

VORREI...
PER UN ISTANTE ALMENO.


HO IMPARATO A SOGNARE

https://www.youtube.com/watch?v=--W5sM2zMfM&list=RD--W5sM2zMfM&start_radio=1

HO IMPARATO A SOGNARE
CHE NON ERO BAMBINO
CHE NON ERO NEANCHE IN META'

QUANDO UN GIORNO DI SCUOLA 

MI DURAVA UNA VITA

E IL MONDO FINIVA UN PO' LA'

TRA QUEL PRETE PALLOSO

CHE CI DAVA FARE...

HO IMPARATO A SOGNARE

QUANDO INIZI A SCOPRIRE

CHE OGNI SOGNO

TI PORTA PIU' IN LA'

CAVALCANDO AQUILONI

OLTRE MURI E CONFINI...

Francesco Lauria (THE GANG - NEGRITA)

domenica 21 dicembre 2025

ANGELA (E CHICO) MENDES: IL RICHIAMO DELLA FORESTA E DI UN SINDACATO SEME DI FUTURO

Ringrazio il mio amico Gianni Alioti per la segnalazione dell'intervista, pubblicata il 20 dicembre scorso dal quotidiano Il Manifesto, ad Angela Mendes, figlia di Chico, il sindacalista seringueiro amico degli alberi, ucciso dalla mafia dei latifondisti estrattivisti, ovviamente con la complicità delle istituzioni brasiliane, il 22 dicembre del 1988.

Cresciuto con la voce ispirata di Augusto Daolio in "Ricordati di Chico", ho sempre saputo, fin da piccolo, chi sia stato Chico Mendes, l'ho sempre ammirato con tutto me stesso, ben prima di occuparmi direttamente di sindacato.

Poi ho scoperto anche la bella canzone Chico Mendes dei Gang, contenuta in un album capolavoro come: "Le radici e le ali" e, ovviamente, divorato il libro di Gianni : "Chico Mendes. Un sindacalista a difesa della natura", pubblicato da Edizioni Lavoro.

Su Chico Mendes ho scritto anche io, varie volte e, in particolare, a trent'anni dalla morte, su Conquiste del Lavoro, il quotidiano della Cisl (quando mi ci facevano ancora scrivere) e su C3dem, il portale Costituzione, Concilio, Cittadinanza.

https://www.c3dem.it/chico-mendes-trentanni-dopo/

L'attualità di Chico Mendes è spiegata, perfettamente,, nella sua bella intervista dalla figlia Angela, dal Brasile, dall'Amazzonia, dopo il totale fallimento della Cop30 di Belem.

Molto più vicino a me ho scoperto un sindacato (si, lo voglio dire, una federazione di categoria della Cisl) che, anche durante alcuni direttivi, non smette, con i propri delegati e le proprie delegate, di abbracciare gli alberi.

Se non è il rito di un giorno, si tratta di un seme, giovane, di futuro, proprio di quelli di cui ci parla Angela Mendes.

Non perdiamo la Fede. 

Crediamoci ancora, ritroviamoci, non solo in teoria, ma nell'azione quotidiana, di ogni istante, nelle parole concrete di Angela Maria Freitosa Mendes....

Francesco Lauria

Sara Segantin (BELEM)


Brasile Il 22 dicembre di 37 anni fa veniva ucciso Chico Mendes, la figlia Ângela ne ha raccolto l’eredità continuando la lotta per la giustizia socio-ambientale dei popoli dell’Amazzoni 

Ângela Maria Freitosa Mendes aveva diciotto anni quando suo padre fu assassinato. Era il 22 dicembre 1988 e Francisco Alves Mendes Filho, noto al mondo come Chico Mendes, venne ucciso a sangue freddo nella sua casa, a Xapuri, da Darci Alves da Silva, figlio di un bovaro locale. Chico, seringuero – raccoglitore di gomma – e attivista ambientale, è l’icona dei martiri dell’Amazzonia. Ângela continua la lotta del padre, con gli empates, barriere umane contro il disboscamento, e tramite il Comitato Chico Mendes, con cui lavora per la giustizia socio-ambientale tra pressione politica, iniziative culturali e formazione di giovani leader della foresta.

A quasi quarant’anni dall’assassinio di Chico Mendes, cosa resta della sua eredità?

Mio padre lottò per il diritto al territorio e all’educazione; diritti basilari ai quali chi vive nella foresta e nelle periferie non ha accesso. Quel che riuscì a fare Chico è la prova che possiamo ottenere questi diritti solo con un lavoro collettivo. Tutta la sua vita parla di collettività: non è possibile avanzare come società se non coltiviamo una spirito di unione, perché viviamo nella stessa casa, condividiamo la stessa casa, respiriamo la stessa aria.

Come iniziò la lotta di Chico? Qual era il cuore del conflitto in Amazzonia?

Lui era un seringueiro, un raccoglitore di lattice dagli alberi di caucciù. I seringueiros vivevano nella foresta da generazioni, il loro stile di vita si ispirava a quello dei popoli indigeni. Mentre il governo imponeva un’organizzazione del territorio fatta di lotti e linee rette, estranea alla realtà amazzonica, i seringueiros seguivano il tracciato delle estradas de seringa, i sentieri della gomma, che non sono diritti, si distribuiscono organicamente nella foresta, come i corsi d’acqua. Era il modello che gli indigeni già adottavano per la demarcazione delle terre. I fazendeiros – allevatori e latifondisti volevano trasformare la foresta in pascoli di bestiame, spesso con incentivi statali, così bruciavano tutto e uccidevano chi si opponeva. Per reagire, i seringueiros organizzarono assemblee, coinvolsero i popoli indigeni, ascoltarono le loro esperienze e visitarono le loro terre. Nel 1987, Chico e il leader indigeno Ailton Krenak stabilirono l’Alleanza dei popoli della Foresta, per una lotta unificata per il diritto ai territori. Fu incredibile: indigeni e seringueiros erano sempre stati messi gli uni contro gli altri. Superare questo dolore – che allora sanguinava ancora – fu una grande vittoria collettiva.

Da quel processo nasce l’idea rivoluzionaria delle riserve estrattiviste (aree forestale legalmente protette concesse alle popolazioni tradizionali). Di cosa si tratta?

È un’idea di conservazione che permette alle persone di vivere dentro il territorio. Fino ad allora c’era o il disboscamento o qualche area di protezione integrale e le persone da un giorno all’altro perdevano il diritto di svolgere attività lavorative o culturali nella propria casa. Chico e i suoi compagni nel 1985 organizzarono a Brasilia il primo incontro nazionale dei seringueiros, 130 raccoglitori di gomma vennero da Acre, Rondônia, Amazonas e Pará e lì nacque il concetto di ‘riserva estrattivista’, per proteggere sia il territorio sia le persone.

Quando furono istituite le prime riserve?

Le prime quattro nel 1990, l’ultimo giorno di mandato del presidente Sarney, due anni dopo l’assassinio di mio padre. Lui lottò, versò sangue, diede la vita, ma non riuscì a vederle nascere – sapeva che stava lottando per il futuro. Oggi abbiamo 96 riserve estrattiviste sotto gestione federale e quasi 50 gestite da governi statali e municipali. Ci sono le riserve forestali e quelle marine, perché sono inclusi anche i territori del Cerrado, le acque e i mangrovieti.

Le riserve estrattiviste hanno ancora un senso?

Così come le terre indigene, sono una barriera contro il disboscamento incontrollato che continua ad avanzare. Nello stato dell’Acre c’è la seconda più grande riserva estrattivista del Brasile: la Chico Mendes, quasi un milione di ettari. Si trova nella regione più deforestata dell’Acre, sotto pressione dell’agrobusiness e dei fazendeiros: sulla mappa è un punto verde circondato da terra bruciata. Questo è un modello che tutela la foresta e ha ispirato la creazione delle foreste nazionali e di progetti di insediamento che mettono al centro la conservazione e l’agroecologia.

Perché in Amazzonia il riconoscimento territoriale è cruciale?

I popoli originari e le comunità proteggono l’Amazzonia, ma i fazendeiros li cacciano e uccidono. Il riconoscimento legale garantisce il diritto di restare a chi già viveva lì, magari tagliando il lattice della gomma o raccogliendo le castagne. È uno strumento necessario, anche se purtroppo non sufficiente.

Quali altri progetti porta avanti?

Il Progetto Seringueiro ha alfabetizzato circa 18.000 persone dentro la foresta, in un vuoto lasciato dallo Stato verso persone invisibili. Sapere vuol dire uscire dalla schiavitù.

Giovani e donne sono al centro della vostra azione. Perché?

Il Brasile è al secondo posto per numero di attivisti uccisi; omertà e impunità – rafforzati dall’ultimo governo di estrema destra – continuano a mietere vittime. I giovani e le donne sono al centro perché contribuiscono maggiormente alla protezione della foresta ma sono anche i più colpiti – dalla crisi climatica e dalla violenza.

Suo padre tre mesi prima di morire scrisse una «Lettera ai Giovani del Futuro», incitandoli a proteggere la vita e la foresta e a non arrendersi.

La «Lettera ai Giovani del Futuro» ci muove nel comitato e nel mondo, perché senza una gioventù impegnata non abbiamo prospettiva di futuro. Abbiamo bisogno di rinnovare le alleanze, il fare collettivo se vogliamo affrontare un capitalismo che è sempre più selvaggio, forte, con potere, e che tenta di metterci in competizione e di individualizzarci. La nostra forza è l’unione, Chico lo ricordava sempre.

Il movimento “Jovens do Futuro” nasce da lì?

Chico nella lettera convoca la generazione attuale a dare avvio a un’ondata rivoluzionaria. Jovens do Futuro lavora con educazione, comunicazione, cultura e artivismo. È guidato da giovani ed è destinato ai giovani dell’Acre provenienti da contesti marginalizzati, sia urbani che della foresta. Nel 2020 abbiamo organizzato un festival, con giovani di più di 20 Paesi. Nonostante tutto, i giovani di oggi credono profondamente nel loro ruolo e si stanno mobilitando. Questa è la nostra forza.

 

RICORDATI DI CHICO (I Nomadi)

https://www.youtube.com/watch?v=vBfOI32HfU8 

I signori della morte hanno detto sì

L'albero più bello è stato abbattuto

I signori della morte non vogliono capire

Non si uccide la vita, la memoria resta

Così l'albero cadendo ha sparso i suoi semi

E in ogni angolo del mondo nasceranno foreste

Ma salvare le foreste vuol dire salvare l'uomo

Perché l'uomo non può vivere tra acciaio e cemento

Non ci sarà mai pace, mai vero amore

Finché l'uomo non imparerà a rispettare la vita

Per questo l'albero abbattuto non è caduto invano

Cresceranno foreste e una nuova idea dell'uomo

Ma lunga sarà la strada e tanti gli alberi abbattuti

Prima che l'idea trionfi senza che nessuno muoia

Forse un giorno uomo e foresta vivranno insieme

Speriamo che quel giorno ci siano ancora

Se quel giorno arriverà, ricordati di un amico

Morto per gli indios e la foresta, ricordati di Chico

Se quel giorno arriverà, ricordati di un amico

Morto per gli indios e la foresta, ricordati di Chico

 

CHICO MENDES (THE GANG)

https://www.youtube.com/watch?v=1-BBhyLsG4k&list=RD1-BBhyLsG4k&start_radio=1 

Chico ha un dente di topo

un coltello di pioggia

un occhio di legno

Quando ride sbadiglia

e sua madre era la luna.

Notte smeraldo tamburi di festa

lingue di foco nella foresta.

Ooooohhh Chico Mendes.

Sole diamante sole guerriero

uomo di fango seringueiro

Chico lottava per il sindacato

Chico Mendes lo hanno ammazzato.

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

Son venuti dal fiume

non c'era la luna

hanno tutti un dollaro portafortuna

hanno tutti un fucile e una croce.

Notte di fuoco danza di guerra

rossa di sangue sarà questa terra

Oooohhh Chico Mendes

Come tre lampi sulle nostre vite

come una croce come tre ferite

Chico lottava per il sindacato

Chico Mendes lo hanno ammazzato

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

Sole diamante sole guerriero

uomo di fango seringueiro

Chico lottava per il sindacato

Chico Mendes lo hanno ammazzato.

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.

QUANDO FINIRA' QUESTA SPORCA GUERRA

CHI LI SALVERA' I CUSTODI DELLA TERRA.